sabato, maggio 22, 2010

Un paese sull'orlo del baratro

Se guardiamo con attenzione alla storia d’Italia, ci accorgiamo che il nostro paese ha una caratteristica singolare che lo differenzia dalle altre nazioni europee. Quella di andare avanti come se marciasse perennemente in bilico sull’orlo di qualche baratro economico, sociale, organizzativo, militare ed istituzionale ma, grazie all’arte di arrangiarsi, quella mistura di furbizia, inventiva, fantasia, individualismo, gattopardismo, con cui sono impastati da millenni i suoi abitanti, di riuscire sempre a sfangarla evitando all’ultimo momento di cadervi rovinosamente.
E’ accaduto sin dalle origini della nazione, quando uno scalcagnato esercito di mille rivoluzionari guidato da un geniale generale stava per essere sopraffatto a Calatafimi dalle preponderanti forze borboniche, per poi improvvisamente e miracolosamente volgere a proprio vantaggio le sorti di una battaglia che costituì il preludio determinante per la liberazione del sud del paese. Proseguì alla fine del 1800 quando lo scandalo della Banca Romana sembrò scuotere dalle fondamenta i primi accenni di crescita economica avviata da Giovanni Giolitti, il grande statista che ogni mattina recandosi al lavoro si fermava sull’attenti davanti all’ambasciata greca per ringraziarla di evitarci l’onta di essere gli ultimi d’Europa. Continuò dopo la Caporetto della Prima Guerra Mondiale e l’Armistizio della Seconda. Si confermò con la stagione del terrorismo per giungere fino ai nostri tempi con il quasi miracoloso ingresso nell’euro.
E, venendo all’attualità, come spiegare l’apparente contraddizione di riuscire a limitare i danni di una crisi economica devastante che sta trascinando nel dramma sociale, tra i cosiddetti PIGS (la I sta per Irlanda), prima la Grecia, poi il Portogallo e infine la Spagna dell’idolo indiscusso della sinistra italiana? Come interpretare questo apparente paradosso in un paese che possiede un debito pubblico in Europa secondo solo a quello della Grecia?
Con la forza della propria economia familiare e con un metodo errato di contabilizzare l’indebitamento degli Stati.
In un recente articolo sul Messaggero, Franco Fortis mette acutamente in evidenza che il parametro debito pubblico / PIL con cui si misura lo stato di salute di un’economia nazionale è impreciso e menzognero, perché rapporta uno stock di risorse finanziarie con un flusso di beni e servizi. Accade così che paesi con debiti paragonabili o inferiori a quelli italiani e PIL in maggiore crescita si trovino oggi molto più nei guai di noi. Se invece, come si vede nell’allegata tabella si raffronta il debito pubblico con un parametro che misura la ricchezza delle famiglie, la “ricchezza finanziaria netta”, ci si accorge che il nostro paese da questo punto di vista è praticamente allo stesso livello di grandi come la Germania e la Francia. La ricchezza finanziaria delle famiglie italiane, secondo gli ultimi dati Eurostat del 2008, è pari a 43.000 euro per abitante, tra le più alte del mondo, quasi 4 volte più grande di quella dei greci, e più del doppio di portoghesi, irlandesi e spagnoli.
Morale della favola. Siccome questa grande ricchezza è anche il frutto di un “compromesso storico” con cui le classi dirigenti politiche hanno consentito in Italia un'evasione fiscale tra le più alte al mondo e considerando che, per le ragioni più volte descritte sulle pagine di questo blog, si può certamente escludere nel futuro una ripresa dell’espansione economica cui eravamo abituati in passato, per evitare di cadere finalmente anche noi nel baratro, le nostre famiglie dovranno accettare di ridurre un poco la propria ricchezza, con una maggiore fedeltà fiscale volta a ridurre l’enorme e limitante debito pubblico. Ma da quest’orecchio l’attuale governo, che rappresenta la maggioranza degli italiani, sembra irresponsabilmente sordo.